Scheda
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XV] [Inv.]: 32/RE Biagio Falcieri, 1627-1703 Fuga in Egitto olio su tela,
cm 101x195 restauri: Francesca Mariotto, 1995. Il
dipinto, di cui esiste una replica in collezione Balladoro, è stato ricondotto
da Sergio Marinelli, in occasione della catalogazione delle collezioni
ospedaliere, alla prolifica attività di Biagio Falcieri, con un’attribuzione
per cui sembra sufficiente il solo fatto stilistico, con tipologie che
per tutte le figure ritornano infatti con riscontri puntuali in innumerevoli
sue opere. Il restauro ha recuperato una cromia che sembrava del tutto
offuscata dall'incupimento delle vernici e risarcito alcune lacune, senza
tuttavia poter fornire elementi utili ad una sua datazione precisa, problema
che resta comune a gran parte del catalogo pittorico dell'artista, in
cui è difficile individuare fasi distinte. La sua produzione, ripetitiva
e scarsamente aggiornata, di cui peraltro rimangono momenti significativi
per impegno esecutivo e per il rilievo della committenza, godette comunque
di una enorme fortuna a Verona, con una specie di monopolio per tutto
il secondo Seicento, ancora deprecato all'epoca di Balestra. Sin troppo
facile bersaglio della polemica antibarocca, all'omissione silenziosa
ma indirettamente censoria del Maffei sulla sua produzione farà seguito
nella storiografia artistica un crescendo di giudizi severi, sino agli
estremi polemici di padre Ippolito Bevilacqua (Memorie della vita di Giambettino
Cignaroli eccellente dipintor veronese, Verona 1771, 7), che delinea un
profilo desolato dei panorama artistico della pittura veronese dei Seicento
«oramai ridotta a niente da Biagio Falcieri, che ciecamente si reputava
da i più per dipintore maraviglioso: e pure si durerà fatica a rinvenir
altri, che lo abbia superato in sua vita nell'imbrattare più tele, e nel
deturpare a fresco più chiese e più case. In centinaja di migliaja di
teste niuna se ne trova, sia di santo, sia di malfattore, sia di demonio,
sia d'uomo o di donna, di bambino o di vecchio, che non sia in tutto uguale
d'aria, di colorito, di forma, e di pessimi lineamenti». Di questa produzione
invero molto eclettica, e allo stesso tempo quasi seriale, risulta ancora
impossibile precisare una cronologia interna, nonostante recenti rinvenimenti
archivistici (Guzzo 1995) consentano ora di integrare gli scarsi dati
biografici relativi al pittore, nato a Brentonico, con una prima formazione
veneziana nella bottega di Pietro Liberi riferita da Dal Pozzo ma non
facile da comprovare su base stilistica, cui seguì un alunnato presso
il pittore bolognesizzante Giacomo Locatelli. Certi elementi di origine
emiliana, e guercinesca in particolare, si evidenziano infatti pure in
questa tela, resi qui però più volgari e in una forma caricaturale che
comunque deve aver incontrato il successo presso un vasto pubblico veronese.
Vi si riscontra peraltro un tentativo di dinamicità, nelle figure in movimento
e nei panneggi mossi dall'aria, che in parte riscatta quest'opera, una
delle pochissime note dell'artista di estensione limitata e di soggetto
intimistico, essendo la sua produzione caratterizzata da dipinti di grande
formato, come il telero per San Nicolò, le ante dell'organo del duomo
e cicli di affreschi in città e provincia. Non siamo oggi in possesso
di alcuna testimonianza sicura sull'originaria provenienza dei dipinto,
in assenza di riscontri documentari per una sua pertinenza al ciclo di
tele eseguite da Falcieri per la cantoria dell'organo della chiesa di
Santa Caterina della Ruota, il cui monastero fu sede dal 1812 delle Case
di Ricovero e d'Industria. Troppo labile è l'indicazione di una tela di
questo soggetto nell'inventario dei beni pervenuti all'ospedale dalla
collezione dei fratelli Alessandri, dei quali emerge peraltro una notevole
sensibilità collezionistica anche verso la pittura antica. G.M. |
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